Astice, aragosta…. punti di vista discordanti.

Astici e aragoste in pentola, soffrono davvero?

Di Sergio Maria Teutonico

Quanti di voi hanno potuto cucinare un’aragosta o un astice appena pescati? Pochi, ma sono in molti quelli che, non appena si affronta questo argomento, dicono: “l’astice grida quando è messo nella pentola!”.

Nella mia carriera di cuoco ne ho cucinati parecchi ed effettivamente “qualcosa” si sente nei secondi successivi all’immersione dell’animale in acqua bollente; si tratta di un vero e proprio sibilo che è determinato dal vapore che si genera tra le carni e l’esoscheletro dell’animale e non sono di certo “urla” di dolore.

Questi animali non sono dotati di corde vocali o apparati che possano in alcun modo emettere né modulare suoni; ciò nonostante uccidere in questo modo non è piacevole.

La domanda è: “queste bestie soffrono?”

La risposta è: “probabilmente no”, sebbene vi siano studi che dimostrano reazioni nervose a stimoli dolorosi di varia natura, manca in questi animali un vero e proprio cervello che consenta loro di concepire il dolore in quanto tale. Non hanno un cervello centralizzato come lo abbiamo noi (discutiamone) e moltissimi altri animali, ma un sistema nervoso costituito da gruppi di nervi che “controllano” ogni segmento del corpo.

Questi gruppi sono uniti tra loro da un cordone (nervo ventrale) e provvedono alle varie funzioni vitali dell’animale.

Nel 2005 il governo norvegese ha commissionato uno studio mirato a chiarire il dilemma; la conclusione è stata che questi animali non sentono dolore quindi gettarli vivi in una pentola d’acqua bollente non li farebbe soffrire.

Il concetto però non è così semplice dal momento che, umanamente, il dolore è in sostanza come il nostro cervello risponde a degli stimoli che definirò sgradevoli e negativi (nocivi).

Non sono un filosofo e astici e aragoste non credo sappiano nulla del pensiero filosofico, ma di certo hanno terminazioni nervose che reagiscono a stimoli di vario tipo. Quindi anche a quelli sgradevoli e negativi.

Siamo dunque sicuri che bollire un Astice o un’Aragosta in quel modo sia appropriato?

La nostra tendenza è quella di umanizzare gli animali rendendoli amici o nemici (il serpente è nemico, l’orso è amico e così via) quindi la decisione talvolta è presa basandosi sulla “simpatia” che proviamo per un determinato animale pensate a un canarino e a un tordo, il primo è adorabile ( no alle gabbie) il secondo va bene se è allo spiedo (non mi piace)!

La letteratura, i miti e le leggende contribuiscono nelle varie culture a rendere più o meno “simpatici” determinati animali.

Tempo fa lessi uno studio realizzato da uno scienziato dell’Università di Belfast intitolato “nocicezione o dolore nei crostacei decadopodi?”.

Nello studio alcuni gamberetti subivano degli stimoli meccanici e chimici alle antenne; questi reagivano a tali stimoli con comportamenti che si potrebbero definire di percezione dolorosa.

La domanda che mi sono posto è stata: “le derivazioni nervose dei gamberetti reagiscono in maniera automatica ad uno stimolo sgradevole, cercando di ricondurre il proprio stato alla normalità, oppure vi è una vera e propria percezione ragionata?”.

La mia conclusione, del tutto opinabile intendiamoci, è stata che pur non essendo dimostrabile l’effettiva sofferenza di queste bestie, io, in quanto essere umano e pertanto ragionevole e non crudele, non devo infliggere sofferenze che se pur non percepite dall’animale, da me invece sono avvertite come tali.

Non è sufficiente liquidare il discorso affermando che grandi scienziati dicono che questi animali non soffrono, ma è utile capire se esiste un metodo che dia la morte istantanea e “non dolorosa” ad astici e aragoste.

Alcuni affermano che sia sufficiente mettere l’animale ancora vivo in congelatore per alcune ore, inducendolo così ad uno stato di ipotermia che lo uccide in modo incruento.

Altri invece affermano che un colpo in testa (anche se in realtà non hanno la testa) li uccida all’istante.

Altri infine sostengono che, dopo aver immobilizzato l’animale su un tagliere, lo si dovrebbe trapassare con un coltello proprio tra il cefalotorace e il carapace (sempre che sappiamo cosa siano).

Io, se devo scegliere, opto per quest’ultima soluzione in quanto è effettivamente la più rapida e, nella mia percezione, la meno dolorosa.

Badate bene che in questo mio scritto non affronto il discorso circa il giusto o no di tale operazione e nemmeno voglio entrare nel merito etico dell’uccisione, per puro piacere della gola, di un altro essere vivente, ma vorrei spingervi alla riflessione ponendo un ultimo quesito: “ne vale la pena?”. ( io penso di no).

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  1. maripisanugreenwood Dice:

    Ho letto il tuo articolo con molto interesse, come faccio sempre. Il punto di partenza della riflessione è certamente il tuo pay off: ne vale la pena?
    Ovviamente, in natura, non vi è la.concezione di “giusto” o “sbagliato”. Siamo noi che tendiamo sempre a riportare il tutto in scala umana, perchè spesso troppo incapaci di comprendere che, nel regno animale, non esiste quello che noi chiamiamo “punto di vista”.
    È anche per questo che, la sociologia, distingue bene tra l’istinto (proprio del regno animale) e gli atti riflessi (legati all’evoluzione caratteriale dell’essere umano).
    L’unica cosa in cui possiamo essere simili, e in cui possiamo far coincidere questi due aspetti, è il momento della percezione esatta del pericolo, quello in cui subentra l’istinto di sopravvivenza (che poi la nostra ragione ci consenta di elaborare atti riflessi per uscire dallo stato di pericolo è già un passaggio successivo!).
    Se l’animale che sta per essere messo in pentola percepisce uno stato di pericolo, e quindi si pone in una condizione scientificamente provata di autodifesa, allora concordo pienamente con te: scegliere la via più rapida e indolore….. per la vittima, come per me che sono il suo carnefice!

  2. Sergio Maria Teutonico Autore Dice:

    Grazei Mari, per la tua riflessione e il tuo contributo che condivido.
    SMT

  3. E’ sempre un piacere leggere ciò che scrivi.
    Grazie a te.

  4. Lorenza Dice:

    Non penso che ne valga la pena, ma se e’ proprio necessario la soluzione migliore e’ sempre quella piu’ veloce e indolore. Certamente uno chef deve, per lavoro, fare di tutto astici e aragoste comprese, ma personalmente preferisco la cucina “povera” quella delle mie nonne e bisnonne, dove si prediligeva le verdure e i legumi… e la carne solo nelle feste . Continuo a cucinare come loro e quando vedo la carne , mi prendono gli scrupoli … per questo non mangio agnelli e conigli. Comunque trovo che sia molto importante e intelligente affrontare questo genere d’ argomenti . Ciao e alla prossima discussione.

    1. Sergio Maria Teutonico Autore Dice:

      Grazie infinite per il tuo parere, i migliori ragionamenti arrivano dalle parole di tutti voi!

  5. Penso che, perquanto possa parere cinico, il benessere ci “permetta” di occuparci di questioni etiche che circa 30 anni fa non erano nemmeno immaginabili.
    Trovo perfetto accordo con un consume ragionevole di carni per il semplice fatto che non e’ necessario per il nostro corpo consumarne in maniera esagerata, benche’ la gola ne voglia sempre approfittare.
    Vi e’ anche da considerare, nello specifico, che alcuni animali, ma anche le piante, hanno reazioni agli stimoli esterni di pericolo senza necessariamente essere legate a percezioni dolorose. Infatti gli esseri viventi attualmente presenti sono quelli che sono sopravvissuti, le piante che emettono sostanze nocive quando attaccate, gli animali che fuggono a “contatti sospetti” et similia. L’evoluzione significa anche che questi comportamenti sono quelli che hanno tratto in salvo tali organismi, seppure non sono necessariamente collegati ad una percezione “umana” del dolore.
    Personalmente non ho alcun remore a cibarmi di alcun tipo di animale commestibile, sempre nelle regole di un consumo moderato di circa mezzo kg alla settimana che e’ poi quello consigliato dai nutrizionisti per ricevere il corretto apporto di sostanze nutritive.

    1. Sergio Maria Teutonico Autore Dice:

      Grazie molte Mauro del tuo contributo! SMT

  6. Andrea Schivo Dice:

    Ho letto con piacere il tuo pensiero e sono rimsto sorpreso da tutte le fonti sia che hai letto (ma riengo che un ottimo Chef se ama il suo lavoro debba guardarsi intorno in modo molto più approfondito), sia quelle dettate dalla tua lunga esperienza.
    Anch’io le poche volte che l’ho dovuto fare l’ho messo in congelatore, ma la cosa non mi entusiasmava piu di tanto.
    Cmnq sia, è lodevole che una persona che fa di lavoro questo, si soffermi a pensare ad effetti collaterali, che spesso è OBBLIGATO ad affrontare

  7. Luigi Serrani Dice:

    L’astice non muore. È questo il punto. Voglio dire non sono un biologo li cucino per lavoro ed ucciderli è un impresa se si è “sensibili” a quello che prova o potrebbe provare. Abbiamo in carta la classica linguina. 38 euro. Astici ovviamente vivi, grossi, coriacei e forti. Tecnicamente non aspettiamo che muoiano letteralmente di fame come in certi posti ma li “ giriamo” molto. Nonostante ciò aprire il frigo e cercare di ignorare ogni volta esseri viventi in attesa del loro momento è sempre pesante. Veniamo però al momento della macellazione. Da noi viene richiesto di squartarli dividendo la testa ed il corpo con le mani per poi suddividerli in parti. Io diciamo per clemenza mi oppongo e apro la testa dell’animale con un coltello affilato. Separo la coda successivamente . Oggi la testa semi aperta continuava a difendersi nel lavandino. La coda di per se sembrava avere vita propria e anch’essa si difendeva esercitando una naturale avversità al tentativo di essere stesa per poterla dividere nuovamente. Successivamente bisogna eliminare il cervello le parti nere e le zampe. Ancora occhi che piano piano sembravano appannarsi continuando a rimanere pietosamente vivi anche con buona parte di cervello asportato. Poi L olio in padella e le parti che continuano a muoversi. Non voglio trovare una morale dietro a ciò ma semplicemente raccontare quanto cazzo quell animale come tutti del resto sia attaccato alla vita e la straordinaria capacità di poter resistere a lungo a ogni tentativo di ucciderlo .Forse un giorno uccidere un granchio sarà reato non so, rimane il fatto che per quanto si possa dire, tenere tra le mani un essere che vuole vivere e tu debba ucciderlo con le tue mani rimane ogni qual volta un esperienza che non si fa con amore. Vorrei le vostre esperienze e cosa ne pensiate al riguardo.

    1. Sergio Maria Teutonico Autore Dice:

      Grazie Luigi per il tuo contributo alla discussione, lo apprezzo molto.
      SMT

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