Aceto Balsamico Tradizionale di Modena
Aceto Balsamico Tradizionale di Modena
di Sergio Maria Teutonico
Da quasi mille anni sulle tavole di alcuni fortunati, brilla una perla di rara bellezza: l’Aceto balsamico tradizionale di Modena.
Accade spesso che molti, anche durante seminari e lezioni, facciano confusione nell’individuare propriamente questo inimitabile prodotto, a vantaggio di svariati altri “condimenti” che, apparentemente, richiamano nei colori e nelle diciture il prodotto originale.
L’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena è un prodotto tutelato dal marchio DOP (Denominazione di Origine Protetta), quindi cercate traccia di questo marchio!
Entriamo nel dettaglio, per imparare e perché no, per riflettere: come si ottiene l’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena?
Mediante la fermentazione batterica di mosto di uva cotto, prevalentemente Trebbiano e Lambrusco, cotto preventivamente in contenitori aperti, posti a diretto contatto con il fuoco, fino a che il volume del mosto non si sia ridotto di almeno un terzo.
Tra i vari fenomeni chimici e fisici che si sviluppano durante la cottura, abbiamo una concentrazione zuccherina (caramellizzazione?) che conferisce, in parte, il colore bronzeo di questa delizia; questa prima concentrazione aumenterà man mano che il prodotto, negli anni, diminuirà il suo volume.
Vero è che la fase della cottura è fondamentale, ma non da meno è quella dell’invecchiamento in botte, ovvero nell’Acetaia, anzi, nella “Batteria”.
Vi è un metodo perpetuo di affinamento utilizzato per vini come il Porto oppure il Marsala, ho avuto occasione di scrivere circa il travaso programmato da botti contenenti vini di diverse annate, fino ad ottenere il prodotto finito … per l’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena funziona più o meno allo stesso modo, con alcune differenze sostanziali, come temperature, scambio gassoso, dimensioni delle botti, legnami.
La trasformazione parte dal travaso nella prima botte, solitamente dalla portata di circa ottanta litri, dove l’alcool etilico incomincia, ad opera principalmente di acetobatteri e dell’ossigeno, a trasformarsi in acido acetico, sostanza che conferisce il caratteristico sentore che poi fa pensare all’aceto convenzionale (non vuol dire che il prodotto finito sarà necessariamente acido, è vero il contrario semmai!).
Lo scambio costante di ossigeno con l’esterno delle botti e l’abbondantissima presenza di acetobatteri, consentono un’evaporazione ed una biossidazione, costanti e fondamentali; basti pensare che le botti non sono sigillate, come avviene in una certa misura per il vino, ma hanno una apertura coperta semplicemente da un panno che impedisce a corpi estranei di cadere nei vasi ma che permette all’aria, come anche agli agenti esterni, di portare il suo apporto ossidativo al mosto che gradualmente si riduce e si concentra, per effetto dell’evaporazione e dei batteri.
Contrariamente a ciò che accade per il vino, l’Acetaia non si trova in cantine amene e fascinose, ma in soffitta (comunque in alto), dove, grazie ad una costante e ciclica escursione termica dovuta al mutare delle stagioni così come al variare tra la notte e il giorno, permette all’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena di divenire, dopo diversi anni, uno dei prodotti più imitati del panorama enogastronomico mondiale.
Il variare delle stagioni aumenta e diminuisce la proliferazione batterica che come ovvio sarà maggiore nei periodi caldi, quindi favorirà il concentramento e minore in quelli freddi, quando la sedimentazione delle impurità sul fondo delle botti avrà migliore funzionalità.
Sfruttando questi ciclici ritmi di “attività” e di “latenza”, il prodotto si purifica da se, di volta in volta, rendendosi maturo al travaso che seguirà tutto il ciclo della sua trasformazione, dalla botte più grande a quella più piccola che avrà una capienza di dieci/quindici litri.
I sentori peculiari dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena, sono determinati anche dalla tipologia di legno impiegata per la costruzione delle botti che compongono la Batteria, si utilizzano, infatti, diversi tipi di legname, tra cui spiccano Rovere, Castagno, Ciliegio, Frassino, Ginepro, Gelso.
Ognuno di essi conferisce particolari olfattivi caratteristici che, combinati secondo “ricette segrete” dei diversi produttori, rendono unici e vivi i vari Aceti a seconda di chi li produce.
Commercialmente parlando troviamo due tipologie di prodotto, l’Affinato (che ha la capsula bianca, invecchiato non meno di dodici anni) e l’Extravecchio (invecchiato non meno di venticinque anni ed identificabile anche per la sua capsula color oro).
Quando per la prima volta degustai Aceto Balsamico Tradizionale di Modena, fui colpito dall’aromaticità e dalla densità del prodotto, oltre che dal suo colore bruno e pieno di sfumature: domandai se vi fossero Aceti più vecchi di venticinque anni e mi fu spiegato che l’acetaia dell’Aceto che stavo degustando era stata avviata settantacinque anni prima e che quindi, in virtù del fatto che le botti non si svuotano mai del tutto ma subiscono costanti travasi e rabbocchi, stavo degustando stille di Aceto che avevano anche tre quarti di secolo!
Leggete sempre le etichette e gli ingredienti, siate precisi quando parlate di un prodotto alimentare, non è questione di essere precisini, ma di non farsi prendere in giro.
Un Aceto Balsamico Tradizionale di Modena ha il suo costo e difficilmente si potrà acquistarne per pochi euro al supermercato, magari in confezione da mezzo litro!
Quando potrete compratene, assaggiatene e quindi pentitevi per tutte le schifezze che fino ad oggi avete chiamato con il nome sbagliato!